LE COMMEDIE DI BONAVENTURA
Parte Prima


Nino Bertoletti
Sergio Tofano nella parte di Bonaventura
(presso la Biblioteca del Burcardo, Roma)

(per ingrandire: CLIC sulle immagini)


Lettera a “La Tribuna”, 25 maggio 1934 :

Caro Sto,
che ne è del signor Bonaventura? Sono anni dacché non si fa più vedere sulle scene, e parecchi di noi, essendo molto piccini, e avendo tu soppresso lo spettacolo da tanto tempo, non lo ànno visto MAI!  Ci dicono che tu stai scrivendo la quarta parte di una cosa che si indica con la difficilissima parola “tetralogia”, e che questa parte s’intitolerà  “Bonaventura all’isola dei pappagalli”, ma che non trovi ancora il tempo per finirla. E’ un vero peccato. Ti saremo tanto grati se la finirai prima che diventiamo grandi. Coi nostri saluti a Bonaventura, i tuoi

Sandro e Luigi Filippo d’Amico
Ninnì, Andrea e Giorgio Pirandello
Luca e Francesco Pavolini
Luigi e Francesca Romana Ceccarelli
Titina e Francesco Maselli
Lindina Gilbertini
 


 
                                                    Sergio Tofano                             Recitare per i bambini
Innanzi tutto bisogna distinguere fra teatro per bambini e teatro di bambini: cioè tra quel teatro in cui i bambini siano semplicemente spettatori e quello in cui facciano da attori. Sono due cose diversissime e non bisogna confonderle e tanto meno mescolarle.
La stessa confusione accadde su per giù quando si cominciò a parlare di teatro di masse. In un primo tempo l'espressione fece pensare a palcoscenici immensi, invasi da truppe di attori e di comparse a piedi e magari a cavallo: e invece non si tratta che di un teatro che parli di rettamente al cuore e allo spirito di tutto un popolo.
Teatro per bambini, così, deve intendersi quello creato per il divertimento e la felicità di una platea di piccoli spettatori: ma in palcoscenico chi recita possono essere burattini, possono essere marionette, possono essere, se volete, uomini. Ma bambini, no.
I bambini che recitano, per me, sono malinconicissimi. E sono malinconicissimi perchè non sanno più essere bambini, come Dio li ha creati, ma pappagalleggiano i grandi che li hanno istruiti. Quel divino dono della freschezza, dell'ingenuità, della spontaneità, dell'innocenza che è la più bella e la più sacra prerogativa dell'infanzia, in palcoscenico va a farsi benedire soffocato dallo sforzo e dall'artificio di copiare il maestro che li ha diretti.
Non c'è che una eccezione al mondo: i bambini dei film americani, che ci inchiodano di meraviglia per quel miracolo di sincerità che nessuna sovrapposizione di regista riesce a distruggere nè a diminuire. E non parlo di quelli celebri, i mattatori, che già un po' ci appaiono ammaestrati a secondare i gusti e le esigenze dei pubblici: parlo di quei mille altri meno noti talora mai visti prima, spesso anonimi, adoperati quasi sempre senza importanza, anche in rapide apparizioni, ma che vediamo con nostro grande stupore e diletto parlare, ridere, piangere, giocare, fare i dispetti e le bizze, compiere atti di bontà, commuoversi e commuovere, così, semplicemente, come tutti i bambini del mondo quando sono abbandonati a se stessi. Ma questo non può avvenire che in America, che è tutto un popolo di grandi bambini.
Da noi, Dio ce ne liberi, i nostri bambini, chi sa perché, portati davanti all'obbiettivo o su un palcoscenico, tutti, non c'è santi, recitano. Anche quelli che a un pubblico facilmente entusiasmabile di genitori e di amici di genitori appaiono prodigi di spontaneità; anche in quelli un orecchio appena esperto avverte il maestro che li ha istruiti. Anche quelli che passano per bravi, che quando recitano hanno sempre l'aria di dare, lì, davanti a tutto quel pubblico, un esame dal quale sanno di dover uscire con un dieci con lode, e si capisce lontano un miglio che sentono di dover far mostra della loro bravura.
E non parlo dei bambini prodigio, che bisognerebbe mandare a letto senza cena.
Non nego con questo che una recita di bambini possa essere interessante, qualche volta. Mi ci sono interessato anch'io spesso, ma a guardare i bambini dal di fuori, non come interpreti dei personaggi che dovrebbero rappresentare. I bambini, si sa, sono sempre graziosi: e allora, ascoltati con quell’ inevitabile spirito indulgente che la loro grazia sa accaparrarsi, diventa comico anzi piacevole quel loro continuo e involontario uscire dalla parte, quell'improvviso rivelarsi e tradirsi, ad ogni momento, della loro psiche infantile, al di sopra e contro le esigenze sceniche e la necessità dell'interpretazione. Da questo punto di vista si possono fare delle osservazioni gustosissime: ma questo col teatro non ha niente a che fare.

Dunque, teatro per bambini: ossia teatro, come si è detto innanzi, per il divertimento di un pubblico di bambini. Un teatro che prima di tutto colpisca piacevolmente la loro immaginazione: quindi la materia più preziosa da trattarsi a tale scopo è quella fantastica, fiabesca, avventurosa: il genere, quello comico, umoristico, caricaturale. Ma, per carità, niente quadretto familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie patetico-sentimentali; non storie lacrimevoli di piccoli saltimbanchi maltrattati o di spazzacamini affamati, nè drammetti pietosi di orfanelli e trovatelli derelitti; non gesti edificanti di scolaretti probi nè nobili azioni di balilla eroici. E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante ed educativa. Capita così di rado che i bambini si posano portare a teatro: quelle poche volte che capita, facciamoli ridere, poveri piccoli: e non stiamo lì col fucile puntato della morale, della religione, dell’amor patrio, dell’educazione, per conficcar loro in testa una volta di più quello che possono e devono imparare a casa dai genitori, a scola dai maestri, al catechismo dal parroco. Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro: ché ogni loro risata accenderà un raggio in più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà: più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e,  soprattutto, della retorica.
Ridere con qualunque mezzo, purché, s’intende, di buon gusto: ché il buon gusto deve essere l’elemento essenziale in uno spettacolo per bambini. Quando ero piccolo, ci portavano a vedere certe specie di féeries spettacolose – spettacolose beninteso per le possibilità di allora  e per le esigenze nostre – tratte quasi sempre dai romanzi di Jules Verne. Queste féeries, dalle quali uscivamo incantati di stupefazione, erano dei tali monumenti di quel cattivo gusto allora imperante, che ancora oggi, ripensandoci, non posso fare a meno di ringraziare la divina provvidenza per avermi tenuto le sue mani in capo preservandomi dal contagio di quel malo esempio: perché il cattivo gusto, negli impressionabilissimi spiriti dei fanciulli, è più attaccaticcio della scarlattina.
Perciò oggi, quella del buon gusto, deve essere la nota dominate in un teatro per bambini. Essi, d’accordo, non sapranno capirla né apprezzarla al punto giusto, ma inconsciamente la sentiranno e l’assorbiranno, e inconsciamente educheranno così il loro senso estetico al gusto del bello. Chi sa che per tale via non si arrivi a guarire un giorno quello che è il vizio capitale in tutto il nostro teatro per piccoli e per grandi: la mancanza, nel pubblico, negli autori, negli attori, di un po’ di buon gusto!
(SCENARIO, MAGGIO 1937)
 

QUI COMINCIA LA SVENTURA
DEL SIGNOR BONAVENTURA

Compagnia Almirante – Rissone – Tofano
TORINO, Teatro Carignano,17 marzo 1927
Bonaventura                                             il bassotto 
la Contessa della Ciambella 
il bellissimo Cecè 
la moglie del barone Partecipazio 
il barone Partecipazio 
Madama Tuberosa 
la Piccinina 
la prima lavorante 
la seconda lavorante 
Paganini 
Sergio Tofano
Francesco Rissone
Giuditta Rissone
Luigi Almirante
Gina Sammarco
Vittorio De Sica
Amelia Chellini
Rosetta Tofano
Isora Cardinali
Ebe Adori
Giuseppe Valpreda
Scene e costumi di Sergio Tofano
Musiche di Ermete Liberati

 
 
Sto canta "Qui comincia la sventura" 
Alfredo Bianchini canta "Io bellissimo Cecè" 
Sto canta "Lavoro da pazzo" 
Anna M. Sanetti e Gianni Esposito cantano il duetto della Contessa e del Barone 

 

QUI COMINCIA LA SVENTURA
DEL SIGNOR BONAVENTURA
Compagnia del
Teatro Municipale di Haifa
Haifa, Israele, 5 febbraio 1987

 
Bonaventura
Il bassotto
Madama Tuberosa
La piccinina
Prima lavorante
Seconda lavorante
La contessa della  Ciambella
Il bellissimo Cecè
La moglie del barone Partecipazio
Il barone Partecipazio
Paganini
Makram Khouri
Miki Ben Harosh
Navia Lanzet
Ofra Weingarten
Dina Blei
....
Salua Naakara Haddad
Dror Keren
Vicki Moran
Ami Traub
Rafi Adir

Regìa di Gilberto Tofano
Scene e costumi di Gilberto Tofano,
dai disegni e dalle foto di Sto
Musiche di Ermete Liberati, Aldo Tarabella e Yossi Mar Khaim


 
 
“Mai lusso, ma lesso, - me lasso, con l’osso!” : come si fa a tradurre in altre lingue questa battuta? Eppure la prima traduzione in assoluto di una commedia di Bonaventura, “Qui comincia la sventura”, riuscì benissimo –  nella lingua più imprevedibile, l’ebraico - e Bonaventura fu adottato trionfalmente dal pubblico israeliano, come dimostra questa recensione di Naomi Dudai, critico teatrale del JERUSALEM POST e studiosa di teatro inglese.

“Before getting worked up about  Bonaventura, let’s begin with a word of benign warning. If you miss this, you have only yourself to blame. If need be, make the journey to Haifa just to see it, for this is something that must not be missed. It is not every day that Israeli theatre has something as singular  on view. Call it what you will – one is moved to splash on superlatives – bombshell, schlager, hagigà, fiesta. If ostensibly theatre for children, it has all the elegance, sophistication, subtle wit and irony to charm the most discriminating of their elders too.
The amiable anti-hero Bonaventura is by now a famous figure, a classic of Italian children’s theatre and literature. He was created by the late Sergio Tofano, whose concern for pedagogic values inspired him to confront children with material on the highest esthetic and cultural level. Simultaneously, he tried to project essential social lessons without the bombast, sanctimony and snide pathos that was tied in his time to the teaching of “morals and manners”.  His object was to ridicule such social sinners as money-rakers and other rascals by mischievious, ironic and musical means.
His message is made here as accessible and adorable to the children of today by Gilberto Tofano, his son and his heir in every theatrical, artistic and cultural sense, as it has been to their Italian counterparts for generations.  The latter’s version is a modern mix of music and gentle satire, a genre that falls somewhere between Gilbert and Sullivan and pure pantomime, though with its roots unrepentantly in Commedia dell’Arte. Basically, it is about the adventures and mishaps that befall an enormous, tutti-frutti hat stowed away in an outsize, striped hatbox from Madame the milliner’s.  It is the business of Bonaventura, her tongue-in-cheek servant, dogged by his faithful Hatchesh of the floppy ears, to deliver it to her distinguished customers, Tchetchè the decadent dandy (Dror Keren) and his chichi consort, the Countess (Salwa Naakara Haddad), who compete for the latest model with  the bombastic Baron (Ami Traub) and his imperious Baroness (Vicki Moran). It is not the hat, but the “million”, a money bribe, that ultimately becomes the bone of comic contention.
The performance is a triumph of combined mise en scène, music, movement, costume design and direction, all carried out with a degree of flair, fantasy and style by one man, who must have a monopoly of the Italian maestro tradition. Visually, it is the simple elegance of the sets and the clash and drama of daring and exquisite colors that achieve the effect. But beyond that is the manipulation of actors such as Makhram Khouri (Bonaventura) or Ofra Weingarten (Pitzponet), known as straight  serious-part players, who with polish and panache and versatility shine in styles outside their normal stage vocabulary. Slapstick, clowning, vaudeville, dance numbers (unforgettables were some of the comic routines) all were managed with commitment and total discipline. 
In fact, the actors were all so equally accomplished that it doesn’t  really do to single out some above the others. Yet there were roles that rocked the house more than most, such as the name part, Bonaventura , a master of mischief, Paganini (Rafi Adir) a fantastic and unforgettable Mephisto figure of cadaverous elegance and ironic fun, and Hetchhesh (Miki Ben Harosh), the dumb and dismal dog. But there! With those already cited above, I’ve named nearly all. Add Dina Blei’s  particularly fetching Poelet and Navia Lanzet’s Madame, and that’s the lot, in a culture-to-culture transference laced with authentic Italian ambience and carrying Italian lightness, gaiety and elegance to peaks of perfection. As well as a treat for theatre buffs, this show is, for our children, an entry to a wonderland, whose enchantment must stay with them for life. Gilberto Tofano is no stranger to the Israeli stage. Here’s hoping he returns to us more often.
 

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