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Antonio Faeti
Bonaventura, che proviene da una dimensione non-sensicale più anglosassone che nostrana, porta ai bambini anche la finezza disegnativa e la visione del mondo dei Fliegende Blätter e della grande tradizione iconografica tedesca… (intervento alla tavola rotonda “Sto disegnatore”, Gab. Viesseux, Firenze 1981) |
I CAVOLI A MERENDA
Cav. Benito Mussolini
1° Premio al Concorso di Caricature
del "Guerin Meschino"
1923
IL ROMANZO DELLE MIE DELUSIONI
VANITY FAIR
Paola Pallottino
Grafica di Sto
Sergio Tòfano nasce nel 1886, Sto nel 1908 e il fascino della sua avventura artistica appare ulteriormente amplificato dall'impossibilità di individuare una storia strutturata in esordi, svolgimenti e conclusioni, che sia plausibilmente riconducibile alle vicende della sua opera grafica. Dai primissimi lavori per ''Il Giornalino della Domenica'' di Vamba (1908) e del "Corriere dei Piccoli'' (1909), egli appare, infatti, non solo immediatamente padrone di quei codici espressivi che non abbandonerà mai nel corso delle successive esperienze, ma già solidamente attrezzato per il discorso che intende svolgere, come vignettista e illustratore, sulle pagine delle pubblicazioni più affermate dell 'epoca. Autodidatta - anche se vanta uno zio pittore:
Eduardo Tofano, operante prevalentemente a Parigi - la grafica di Sto si
riconnette al tessuto più propriamente europeo di un déco
nel quale 1 'eleganza e la sinteticità del suo segno incideranno
in parallelo e con accenti anticipatorii, come testimoniano le collaborazioni
ai periodici citati ai quali si devono aggiungere il napoletano ''Ma chi
è?" del 1910, la preziosa rivista per l'infanzia di Vittorio Podrecca
''Primavera'' del 1912, i mensili ''La Lettura'', ''Noi e il Mondo'' e
''Il Secolo XX'' dal 1915 al '16, ma soprattuto le raffinatissime e compiute
prove per la rivista satirica torinese ''Numero'', realizzate a partire
dal 1914. Dell'anno successivo è la collaborazione con due tavole
all'elegantissimo album di Giannino Antona Traversi Gli Unni e gli Altri,
accanto a Bonzagni, Dudovich, Sacchetti, Ventura, ecc.
Ma il contributo, che come illustratore lo
rende definitivamente popolare presso il pubblico bambino e non, per oltre
mezzo secolo, è sicuramente la creazione del personaggio del signor
Bonaventura, nato nel 1917 sulle pagine del ''Corriere dei Piccoli''. Vestito
di molli pantaloni bianchi e attillata pellegrina rossa, con un sospetto
di bombetta in testa, c ai piedi il 'fedele cane', un bassotto giallo che
è la sua terza mano e l'altra metà della sua anima. Bonaventura
ha lo spessore della maschera nata con una solida tradizione alle spalle,
che, dalla fissità del pierrot tardo romantico, allo sberleffo del
teatro futurista, ripercorre tutte le invenzioni della clownerie tradizionale,
per ammonirci sulla sfrenata irrealtà delle sue fortune. Per Bonaventura,
infatti, 'il milione non é altro che uno di quegli oggetti che usano
i clowns. Egli lo esibisce, come un naso finto o un fiore che spruzza
l’acqua, nella colorata arena di un circo in cui le gag traggono spunto
dalla frenesia che la gente sembra opporre al quieto disimpegno, alla sorridente
noncuranza del protagonista'. (Antonio Faeti)
E tutta l'opera di Sto, alla luce dell'esigenza di uno pseudonimo che ufficializzi la separazione dell'attività di illustratore da quella di attore, che si saldano quando egli decora le scene per il Teatro dei Piccoli di Podrecca prima e poi quelle per il Teatro di Bonaventura, realizzando un arredo reso, per altro, già popolare dalle relative vignette. è sotto il segno di una dicotomia che egli amplifica per privilegiare quell'aspetto della realtà nel quale, al di là del suo conclamato scetticismo, si proiettano e si identificano le sue aspirazioni di armonia, gusto e umorismo. Per questo alla matita di Sto sono congeniali
i cerebrali stimoli della pubblicità con le sue invenzioni continue,
si vedano al proposito, oltre alle limpide tavole per il I! Cantastorie
di Campari (1928), tra gli altri, i numerosi cartelli disegnati per la
stessa Casa; o le rapinose suggestioni offerte dalle languide eleganze
della moda, eloquentemente testimoniate da centinaia di vignette, dalla
partecipazione all'Esposizione d'Arte della Moda di Roma del l9l4 e a quella
delle Arti Decorative Moderne di Parigi del 1925.
Ma solo in certi interventi apparentemente
minori: simbolici cuI-de-lampe, veloci testatine, minuscole vignette, la
parsimonia di un segnp a levare, appena al di sopra della soglia di comunicabilità,
diventa la spia di un latente disagio. E come nelle figure tracciate senza
mai sollevare la penna dal foglio, il segno si raggomitola all'infinito
su se stesso a suggerire impossibili evasioni psicologiche negli spazi
contigui.
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